Francesca Lù

10-11-12 Giugno

Da tempo immemore il gatto fa parte della vita dell’uomo. Ce lo raccontano popoli antichi, ce ne parlano gli scrittori, i poeti di ogni epoca, lo ritraggono i pittori esaltandone la grazia e l’innata eleganza.
Baudelaire ne carpisce il carattere nervoso, voluttuoso e sensuale nella sua ‘il gatto’, Manet lo rende protagonista nel suo celebre Olympia, Paul Klee ce lo restituisce con pennellate decise quasi geometriche in molti suoi dipinti. Lovecraft lo racconta come piccolo maestro di vita, Poe ne esalta le caratteristiche misteriche e oniriche. Il rude Hemingway gli riserva un posto d’onore tra le sue carte nel celebre faro in cui deposita testi eterni, il visionario Louis Wain li rende protagonisti di tutta la sua carriera pittorica.

La lista aumenta corposamente e oggi si aggiunge a questa Francesca Lù, pittrice romana che da anni si cimenta nella rappresentazione del piccolo felino. Innamorata da sempre del gatto, spaziando tra diversi stili, Francesca Lù propone le sue pennellate che inseguono quasi letteralmente le curve e gli spigoli di questa perfetta creatura.
Le sue opere sono impresse sulle classiche tele o su tele ‘basculanti’, come ama definirle lei, e quindi su borse, maglie, oggetti di design.

‘Quando ritraggo un gatto da una foto, lo sento respirare’ così ammette Francesca Lù quando esegue ritratti su commissione. E aggiunge che per lei il foglio non è mai bianco, il foglio, o la tela stanno solo celando il dipinto che lei va via via scoprendo, come se fosse stato sempre lì e attendesse solo che qualcuno, magari un po’ più sensibile, magari un po’ più matto, lo portasse alla luce, per sempre.

Francesca Romana Luzi, in arte Francesca Lù, nasce come art director e lavora per dieci anni in note agenzie pubblicitarie. La passione per la pittura però riemerge a tal punto da farle riprendere il pennello spaziando dalla ritrattistica alla paesaggistica. I suoi soggetti preferiti sono gli animali, soprattutto i piccoli felini tanto da essere conosciuta sui social come ‘la pittrice dei gatti’. Non si limita a dipingere sulle classiche tele, bensì ama portare la sua arte anche su borse, tessuti, tegole in terracotta. Queste tele ‘basculanti’ permettono all’arte di essere divulgata, portata in giro, indossata. ‘Dei gatti riesce a cogliere quasi le individualità nascoste, in quel gioco di rimandi antropomorfi che ha reso celebre l’illustrazione inglese sul tema’ (Antonella Amendola).

Ha esposto a Roma e fuori Roma presso locali e gallerie.

The longest way, the gloomiest night

La strada più lunga, la notte più cupa

Venerdì 13 Maggio alle ore 19:00 Spazio Mimesis accoglie Roberta Pastore per la presentazione della sua fanzine The longest way, the gloomiest night a cura di Fabio Moscatelli.

“Un viaggio intrapreso nel periodo del primo lockdown quando, costretta e immobilizzata in casa, ho iniziato a dialogare attraverso la fotografia, utilizzando l’autoritratto e cercando di rendere meno angosciante l’isolamento forzato.

Quando la città pian piano si è risvegliata e il mio corpo ha potuto riappropriarsi della strada e dei luoghi a me familiari, ho iniziato a scattare nei viaggi in macchina nelle prime ore del mattino, quando il giorno e la notte sono ancora indistinti.

Il corpo e la città, una connessione tra due sistemi che a loro modo pulsano differentemente ma che entrano in interazione in uno scambio di energia che è motore e spinta per riemergere in momenti particolari della vita.

La ricerca di un’identità perduta, un sentirsi tutt’uno con il mondo, la città, la strada.” (R.P.)

Ideatrice e fondatrice di uno dei più autorevoli gruppi social dedicati alla Fotografia di strada, Street Photography in the WorldRoberta Pastore ha improntato la sua azione in modo tale da garantire, come peculiarità fondamentale della sua “creatura”, la ricerca di quelle immagini che siano riconducibili ad un viaggio attraverso le strade del mondo. Nelle scelte realizzate dalla sua equipe infatti, c’è una vera e propria ricerca di quelle immagini che rechino nelle loro composizioni, delle vere e proprie storie, che siano espressione di situazioni esilaranti piuttosto che di momenti drammatici.

Moltissimi fotografi amanti di questo genere si sono formati attraverso il suo lavoro e quello del suo staff. Da sempre questa realtà rappresenta uno stimolo alla crescita per tutti coloro che la frequentano. In essa si può apprendere il know how che è alla base di questo genere così diffuso e al tempo stesso abusato. Si può davvero capire cosa è la “fotografia di strada”. (Luigi Coluccia)

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E’ possibile prenotare l’acquisto della fanzine The longest way, the gloomiest night in tiratura limitata (50 copie), contattando Roberta Pastore all’indirizzo roberta.thelma@gmail.com

La notte è più lunga del giorno per coloro che sognano e il giorno è più lungo della notte per coloro che realizzano i loro sogni.
(Jack Kerouac)

Net-Zero Transition

Il cambiamento climatico rappresenta una delle più grandi minacce che il mondo si trova ad affrontare. 

Alla COP 26 tenutasi nel novembre 2021, 197 paesi hanno accettato il patto per il clima di Glasgow per limitare le emissioni di gas serra e costruire la resilienza ai cambiamenti climatici. L’UE si è posta obiettivi per ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030 e portarle a zero entro il 2050. 

Le energie rinnovabili, le nuove tecnologie per la produzione alimentare e l’economia circolare sono soluzioni chiave per realizzare gli obiettivi del Green Deal.

Net zero transition” vuole mostrare le iniziative più innovative che potrebbero consentire all’Europa di raggiungere l’ambizioso obiettivo di diventare il primo continente carbon neutral. Il progetto analizza il rapporto tra uomo, ambiente e innovazione mostrando le nuove soluzioni tecnologiche che consentiranno il passaggio a una nuova era, affrontando in chiave positiva il tema del cambiamento climatico.

Molti semi rivoluzionari sono stati piantati in tutta Europa per rendere il futuro sostenibile per le prossime generazioni. La transizione verso il Net-Zero è già iniziata ed è destinata a essere la prossima rivoluzione industriale.

Simone Tramonte è un fotografo italiano focalizzato sulla documentazione di tematiche sociali e ambientali.

Dopo aver conseguito la laurea in Economia, decide di seguire la sua passione per la fotografia e intraprende una carriera freelance basata su progetti autoprodotti e assignments.

Negli ultimi anni, il suo interesse si è concentrato sull’analisi del rapporto tra le persone e l’ambiente e sul descrivere come le tecnologie innovative possano trasformare queste relazioni per un futuro più sostenibile.

Il capitolo islandese di “Net-Zero Transition” ha vinto il Sony World Photography Awards e l’Environmental Photographer of the Year nel 2021, ed è stato esposto alla COP26 di Glasgow.

Nell’ultimo anno, il lavoro “Net-Zero Transition” lo ha portato ad esplorare le più importanti tecnologie  sviluppate in Europa e a mostrare una visione delle strade per un futuro sostenibile. “Net-Zero Transition” è stato premiato nel Gennaio 2022 al PoYi – Pictures of the Year International, uno dei più prestigiosi concorsi internazionali di fotogiornalismo.

I suoi lavori sono pubblicati dai più importanti magazine italiani ed internazionali, tra cui 

National Geographic, CNN, The Guardian, GEO, Der Spiegel, Internazionale, Politico, L’Espresso, WIRED.

Le sue fotografie sono state esposte in numerosi festival di fotografia internazionali.

Randstad1969: la mostra che restituisce i rullini dimenticati

Dal 26 marzo al 2 aprile SPAZIO MIMESIS accoglie la mostra “Randstad1969: 141 rullini riportati alla luce“.

Randstad1969 è la storia di una riesumazione accidentale che nasce quando l’associazione culturale Civico Zero, nel 2017, si aggiudica in un’asta online un pacco contenente 141 rullini di vario formato. Rullini dimenticati da cinquant’anni, un lavoro fotografico di fine anni Sessanta inesplorato di un fotografo olandese sconosciuto. Sono state scattate tutte nella Randstad Holland, un agglomerato urbano che comprende Amsterdam ed altre sedici città dei Paesi Bassi. I rullini giungono avvolti in un foglio di giornale, il Randstad, datato 31 gennaio 1969 e dal quale prende il nome il progetto.

La stampa dei rullini

Le pellicole vengono affidate alle sapienti mani del fotografo e stampatore Franco Glieca. Le prime fotografie riportate alla luce dopo mezzo secolo danno una dimensione di quello che l’intero archivio, formato da circa 4000 negativi, potrà restituire in termini di memoria sia familiare che di una intera area dei Paesi Bassi che va da Amsterdam al Mare del Nord.

Randstad1969 restituisce, per immagini, un tempo e uno spazio cristallizzati. Una visione del mondo tagliata a fette dallo sguardo di uno sconosciuto fotografo. Ogni immagine, fermata e ritratta nelle foto esposte, sembra cogliere l’inesorabile succedersi di stati e movimenti di quiete. Il tempo di un quotidiano sospeso. Un fermo immagine nella linea universale del tempo che scorre.

Bimbe in bicicletta, operai al lavoro, scorci di quartiere, navi nel porto. Ogni immagine racconta una nitida visione delle vicende umane e urbane, della loro contingenza.
Racconta di come ognuna di esse, per quanto significativa, sia inesorabilmente transitoria.
L’occhio di un fotografo, a noi sconosciuto, ha colto e fermato queste immagini. Nessuno sa chi sia. Eppure la cura dell’inquadratura e la scelta del registro comunicativo fanno pensare ad un professionista dallo sguardo “alieno”. Ad una persona che ha scelto, da estraneo, di raccontare per immagini la vita di una bolla spazio-temporale nel disvelarsi del mondo.

Si sono finalmente accese le luci di SPAZIO MIMESIS, accogliendo come primo ospite Pierluigi Ortolano con il meraviglioso progetto Randstad1969, che nella giornata conclusiva è stato complice scenografia per la presentazione da parte di Fabio Moscatelli del progetto Gioele, un viaggio nel blu.
Ringraziamo tutti voi che con curiosità ci avete raggiunti.

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La fotografia in tempo di covid

Uscire dalla letargia creativa durante una pandemia

Negli ultimi mesi è capitato di parlare con colleghi fotografi e, ahimè, sempre più spesso sento parlare di blocchi, di rifiuto, o di difficoltà a portare avanti lavori fotografici. Da qui la domanda: “che succede alla mia fotografia in tempo di covid?”

Sono ormai due anni che siamo chiusi in casa e, nelle poche occasioni in cui usciamo per lavorare, l’incessante presenza delle mascherine, della paura del virus – nostra o dei soggetti – ci limita moltissimo.

Personalmente passo le serate a cercare ispirazioni, esempi da seguire ma ormai sembra che il nuovo must sia quello di incensare questo stato di isolamento in cui viviamo.

Per fortuna, ogni tanto, capita di trovare lavori “diversi”, lavori la cui forza è nel contenuto e non nell’estetica.

Tra questi vi propongo quello di Antoine d’Agata con “I’m Starting to Feel the Pain”. Un lavoro realizzato utilizzando uno scan termico.

  • Antoine d’Agata nato a Marsiglia nel 1961, si trasferisce a New York nel 1983 dove frequenta i corsi dell’International Centre of Photography e avrà come maestri Nan Goldin e Larry Clark. Nel 2004 entra a far parte della Magnum. 

Questo autore non è nuovo a questo tipo di riprese. Ha già usato questa tecnica per la prima volta per documentare i rituali delle comunità religiose a Parigi “Figures of Worship”. Un lavoro commissionato dal Magnum Live Lab, tre anni dopo gli attentati del Bataclan. Per d’Agata, l’uso dello scan termico, “riduce i soggetti umani nelle sue immagini a una fonte di calore, un’essenza di umanità, spogliata di specificità culturale”.

In “I’m Starting to Feel the Pain” l’autore ha cercato di superare la semplice rappresentazione estetica – come del resto ha sempre fatto in tutti i suoi lavori (vedi qui) –  riducendo i soggetti nelle sue immagini a una fonte di calore, un’essenza di umanità, spogliata anche di quei riferimenti che la pandemia ci ha imposto.

“Le persone stanno facendo molto di più di quello per cui sono pagate. In ospedale ho visto persone morire e infermieri che aiutavano le persone a farlo con dignità, tenendole tra le braccia”. (Antoine d’Agata)

Con oltre 10 mila foto scattate in strada e all’interno degli ospedali, in questo lavoro l’autore ha cercato di restituirci uno spaccato del momento fatto di impronte di calore. Immagini senza volti, senza lacrime, senza quegli elementi che avrebbero distratto dalla reale condizione.

Un lavoro, come dicevo precedentemente, “diverso”. Un modo diretto e senza filtri per descrivere un momento storico unico. La rappresentazione della vita e della morte attraverso impronte di calore.

La fotografia in tempo di covid può quindi essere anche altro oltre gli abbracci nella plastica.

Spero che, come è stato per me, questo lavoro di Antoine d’Agata possa essere d’ispirazione e che possa ridare la voglia di osservare il mondo dal mirino della vostra macchina fotografica.

references:
– www.magnumphotos.com/
Magnum Editions Poster: First hours of compulsory confinement. From the series “VIRUS”. Paris, 2020